Profilo storico delle fortificazioni sabaude di Carloforte
La vita di Carloforte e il suo assetto urbano, nella prima metà della sua storia, sono indissolubilmente legati a due distinte opere murarie di difesa: il castello e la cinta, realizzati per far fronte alla minaccia delle incursioni barbaresche, provenienti dal Maghreb.
Il castello venne realizzato a partire dal momento stesso in cui i coloni tabarchini e liguri misero piede sull’isola, i primi di marzo del 1738, e consisteva in una cittadella fortificata costituita da una cortina muraria e sei bastioni a protezione del paese, secondo un impianto all’epoca in auge.
Fautore della realizzazione dell’opera era stato l’ingegnere militare piemontese Augusto de La
Vallée, che ne aveva scelto il sito, progettato il tracciato e pianificato il numero dei bastioni.
La Vallée aveva ritenuto ideale per la costruzione dell’opera il pianoro tra la spiaggia dello Spalmatore di Terra e le suddette alture, a una quota di media altezza e in prossimità della baia; e, così facendo, aveva accontentato le richieste dei coloni, che volevano che il mare fosse il più vicino possibile alle loro case.
Si trattava di una costruzione muraria alta circa due metri e mezzo e dal profilo mosso, che seguiva quello del terreno. Solo nei punti in cui si edificò sulla sommità di terrapieni, la sua mole raggiunse una certa imponenza. Iniziando dalla porta d’accesso, in senso antiorario, s’incontrava per primo il bastione Carlo, il cui nome ricordava il re Carlo Emanuele III; seguiva il Beato Amedeo, intitolato al defunto padre e predecessore di Carlo, Vittorio Amedeo II; quindi i due bastioni San Maurizio e San Lazzaro, in onore dei due santi dell’omonima confraternita. Seguiva il Rivarolo, viceré nel 1738, l’anno di fondazione della colonia; e, per finire, il bastione Vittorio, dedicato a Vittorio Amedeo III, figlio di Carlo Emanuele III e suo successore al trono. Il grosso dell’opera fu realizzato in cinque mesi, ma i lavori terminarono solo dopo due anni. Nei primi periodi della fondazione, i carolini (nome con cui s’identificano gli appartenenti alle colonie del Re Carlo Emanuele III, dette appunto le “caroline”) vivevano in baracche di legno, in gran parte distrutte da un incendio verificatosi nel gennaio 1739. L’unico stabile di rilievo era l’edificio in cui era inserita la porta della cittadella, che conteneva locali adibiti a varie funzioni. Si costruì anche una chiesa e una casa ad uso personale del duca di San Pietro, don Bernardino Genovese Cervellon. Dopo l’incendio, si ottenne il permesso di costruire abitazioni in muratura per la popolazione, che, però, pressava incessantemente per la costruzione delle dimore fuori delle mura e più vicine al mare. E fu proprio questo il motivo che, negli anni, condusse allo spostamento dell’abitato in pianura.
Il dialetto carlofortino conserva ancora due espressioni che rimandano all’antica cittadella:
suvia u castéllu e sutta u castéllu, usate un tempo per indicare una zona contenuta all’interno della fortificazione (sopra) o una al suo esterno, più in basso (sotto). Oggi, essendo i più all’oscuro della purtroppo scomparsa esistenza della vecchia roccaforte, si usano le due espressioni riferendosi però al fabbricato del portale (oggi museo) o al Forte Teresa (posteriore al castello), secondo la loro maggiore o minore familiarità con l’uno o l’altro dei due manufatti.
Nel 1768, trent’anni dopo la fondazione di Carloforte, nella zona dello Spalmadoreddu, a cinquecento metri dall’abitato, si diede inizio alla costruzione della Torre Vittorio, un baluardo d’avvistamento e difensivo isolato, concepito secondo le linee stabilite dal marchese di Montalembert.
Fu intitolata al principe Vittorio Amedeo III, che sarebbe succeduto al padre, Carlo Emanuele III,
di lì a poco tempo. La sua esistenza va in ogni modo correlata a quella del castello, di cui costituiva una propaggine complementare.
Il secondo circuito di difesa, la cinta, costruita dopo la nefasta incursione barbaresca del 3 settembre 1798, consistette in un’opera di dimensioni maggiori della prima, che conteneva un’area più ampia e si snodava per metà sulle alture in cui era sorto in precedenza il castello, e per metà in pianura, al livello del mare, in riva al quale un suo lato, parzialmente, si sviluppava. La nuova opera fu edificata in parte con il pietrame utilizzato per il castello e portò, conseguentemente, alla distruzione di questo.
A differenza della vecchia roccaforte, i cui tratti di muro tra i bastioni erano di lunghezza limitata, la cortina muraria costituiva la parte preponderante dell’opera e non vi erano bastioni, ma fortini armati. Le porte erano quattro, tre affiancate ad altrettanti fortini e una indipendente, la Porta del Leone. L’opera venne realizzata durante il regno di Vittorio Emanuele I, e vari sono i nomi di personalità legate alla sua costruzione.
Il duca di San Pietro, don Alberto Genoves, rinunciò ai tributi spettantigli, affinché maggiori fossero i fondi disponibili per i lavori. L’ingegnere tenente Scoffié eseguì i rilevamenti iniziali sul terreno, per determinare il tracciato preciso della cinta e delle ricognizioni per rettifiche finali e il completamento dei lavori. Il barone Des Geneys, comandante della Regia Marina Sarda, ideò e progettò la cinta e i fortini; il cavalier Luigi Ferrari, capitano dei Granatieri di Sardegna e comandante della piazzaforte di Carloforte, ebbe il ruolo di sovrintendente e direttore dei lavori.
La muraglia di cinta era di dimensioni più generose di quelle del castello, con un’altezza media di quattro metri e mezzo e un profilo portato pressoché a livello per tutto il perimetro. Com’era avvenuto per il castello, anche le piazzeforti della cinta furono intitolate a noti personaggi dell’epoca.
Ad iniziare dalla postazione meridionale lungo la marina, il Fortino San Carlo con il suo nome rendeva omaggio a Carlo Emanuele III, re sotto i cui auspici era nata la colonia; a Carlo Felice, viceré al momento della costruzione; e a san Carlo, patrono della cittadina. Proseguendo in senso orario s’incontrava poi il Fortino Emanuele, dal nome del re in carica, Vittorio Emanuele I. Era poi la volta del Fortino San Pietro, in onore del patrono dell’isola; e quindi del Forte Cristina, intitolato a MariaCristina.
Continuando, era la volta del Fortino Beatrice, dal nome della principessa, primogenita del re. Seguiva il Forte Teresa, in omaggio a Maria Teresa d’Austria Este, la regina. E, per finire, il Fortino della Sanità, così chiamato per il lazzaretto ubicato nelle sue vicinanze. Iniziati nella tarda estate del 1806, i lavori terminarono alla fine del 1814, dopo otto anni e mezzo. L’opera non ebbe mai il battesimo del sangue, grazie al Trattato Internazionale di Tunisi, del 1816, che decretò la fine delle incursioni barbaresche.
Articolo di Giorgio Ferraro Battantier per la guida “Carloforte e l’isola di San Pietro”.