A capunadda
Nella cucina tabarchina, un grande carico simbolico e potere evocativo lo detiene “a capunadda”, la caponata, che differisce dalla “consanguinea” sicula e dal natalizio cappon magro genovese per gli ingredienti che la compongono. Gallette, convenientemente ammollate nell’acqua, carni magre di tonno di mattanza (prevalentemente tuniña, il tonno tagliato a strisce ed essiccato sotto sale, ma anche musciamme, cuore e buzzonaglia), pomodori e facusse, una varietà di cetrioli freschi, dolci, rugosi, allungati e disse-tanti, importati dalla Tunisia. Ingredienti, poveri e conservabili a lungo, che potevano esser preparati, in maniera facile e veloce, anche a bordo, quando il mare grosso faceva rollare paurosamente la barca. Ed eccolo dunque, in questo piatto freddo, tipicamente estivo, il più fedele e struggente ritratto del pescatore dei tempi che furono, di quell’uomo misero, lontano dalla famiglia, spossato dal mare, dal sole e dal vento, schiaffeggiato dalle onde, piegato da un lavoro durissimo ma, nonostante tutto, sempre nobile, altero, operoso e felice.
Articolo della Guida “CARLOFORTE E L’ISOLA DI SAN PIETRO – IL MEDITERRANEO IN MINIATURA”